La scalinata sembrava infinita: i monaci salirono lentamente i gradini sollevando di tanto in tanto gli occhi al cielo frastagliato di nubi rossastre.
Tutt’intorno un silenzio glaciale e terrificante, non si muoveva foglia e non soffiava un alito di vento! Le serpi si muovevano silenziose tra le pietre e gli arbusti, e il sole, incastonato nell’universo, si abbandonava alle musiche del tramonto sconfiggendo la luce del giorno e la dinamica della civiltà. I monaci giunsero al monastero posto sulla cima della montagna: sembrava un titano a cui Dio onnipotente aveva dato la forza e la facoltà di viaggiare nel futuro e di sconfiggere, con la sua tremenda forza, i nemici inesorabili che vomitavano fuoco e fiamme!
Entrarono in un salone ampio, dominato da fiaccole e sorretto da bianchi colonnati, si sedettero in cerchio tutt’intorno alla sala, equidistanti l’uno dall’altro e congiunsero le mani al petto. Al centro della sala un fanciullo sedeva seminudo su un tappeto vermiglio, intonando una dolce canzone. Il più anziano dei monaci estrasse un papiro incartapecorito e iniziò a parlare.
“Questa è la legge dell’universo, questo è il codice della vita. Questa è la sintesi della luce! Tu,” disse additando il fanciullo, “perseguirai i principi di questo codice fino all’infinito e bandirai l’odio e la colpa dal tuo cuore, per sempre. Così, domani nel tempo conoscerai la tua origine e la tua specie e allontanerai ricchezze e beni corporali, bensì eseguirai i principi della tua mente e osserverai il silenzio dell’anima.”
Il canto delle stelle li accolse nella sua alcova e, abbandonandosi alla preghiera e alla meditazione, iniziarono un viaggio senza fine alla ricerca della luce e della verità.
Uscirono dal tempio a notte fonda. Il fanciullo camminava innanzi, e ogni tanto si voltava indietro e poi proseguiva a piedi scalzi tra le pietre e le erbacce. Uno dei monaci lo prese per mano e disse: “Stanotte è avvenuto un sortilegio. È nato un astro! Una luce più potente del sole. Andiamo tra la gente, andiamo a conoscere e a scoprire i sigilli della civiltà.”
La luna proiettata nello spazio illuminava con la sua luce i monaci, e il passo del giaguaro si fece sempre più feroce e cannibale quando s’accorse d’essere seguito da mercenari omicidi che volevano immolarlo al dio serpente.
Poi, perdutisi nel canto delle sirene, essi si confusero con le luci dell’universo e vagarono tra il popolo e le iene e la civiltà, perché così era scritto.
Perché così aveva stabilito il Fato.
Antonio Carasi