La luna e il trapezio

La luna e il trapezio - Un racconto di Antonio Carasi

La magica musica delle sorgenti azteche scrosciava lentamente sotto una luna rosso vermiglio incapsulata dentro un groviglio di fragili nuvole. Il tempio si ergeva maestoso nella fitta foresta dove, per un crescendo di suoni e colori, si manifestava il mormorio della notte. D’improvviso, come rapito dall’estasi, il guerriero si alzò dal sudario di soffice sogno in cui era sprofondato e corse disperatamente cercando di richiamare a sé l’attenzione dei vecchi che, incartapecoriti in viso, facevano sacrifici agli dei. Poi crollò a terra morto, colpito da una freccia venefica e micidiale che gli trapassò il cuore: “Perché?” dissero i vecchi. E una voce dal nulla rispose: “Egli, insolente e magnifico, osò innalzare un falso simulacro di oro e argento alla dea vergine della fecondità, prese una giovane e dopo averla posseduta, la mutilò orrendamente e la uccise con un colpo mortale alla gola. Egli cercava pietà e grazia presso di voi, immensi sacerdoti, ma qui trovò la morte!” La luna cadde dalle nuvole e si posò dolcemente fra le fragili aiuole del tempio e da lì cadde anche il cosmo perpetrato con gli incantesimi e i sortilegi della magia, ove nacque l’immagine della perfezione matematica e astronomica conosciuta da esseri alieni e senza volto. Il vento squassò l’universo e il guerriero fu sollevato dal suolo come una pagliuzza e scaraventato in fondo a un abisso. I vecchi accesero dei grandi fuochi che si levarono alti colmando di calore lo spazio e l’amore delle vergini chiuse dentro le alcove. L’amore è una grande foglia infinita e morirà con lo sparire del tempo insieme alle grandi vendette e alle grandi guerre. Così, tra il pascolo delle nebbie che s’alzarono d’improvviso nella foresta e il rullo ossessivo dei tamburi che suonarono fino all’alba, scomparve una grande civiltà sorta e immortalata dal nulla.

Antonio Carasi

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